giovedì 29 settembre 2016

Inquinamento, le particelle magnetiche che arrivano nel cervello

L'inquinamento è una problematica molto seria del pianeta che va affrontata con serietà e applicazione.

In alcuni esperimenti è stato dimostrato che l'effetto dell'inquinamento, anche chimico aveva un incidenza sul campo di torsione generato da una piramide. L'inquinamento a cui ora siamo sottoposti è talmente elevato ed eterogeneo da portare numerosi effetti sul campo biologico. Il principale effetto è quello di perdita di carica, e quindi paradossalmente di energia vitale. In questo senso vanno tenuti in considerazione campi elettromagnetici, edifici in metallo, inquinamento chimico, alimentazione e modalità emotiva delle persone.  Se credete che il cervello sia immune all'inquinamento chimico forse dovrete ricredervi con questa ricerca.



Le ha scoperte una ricerca appena pubblicata su Pnas. Si tratta di nanoparticelle di magnetite, un materiale tossico, che sembra collegato allo sviluppo dell’Alzheimer e di altre malattie neurodegenerative.
Non solo cuore e polmoni: anche il nostro cervello potrebbe essere a rischio a causa dell’inquinamento atmosferico. Una ricerca appena pubblicata sui Proceedings of the National Academy Sciences ha infatti identificato, per la prima volta, nei tessuti del cervello umano delle nanoparticelle di magnetite di origine industriale. Il materiale, spiegano gli autori dello studio, è un ossido del ferro con proprietà magnetiche prodotto dai processi di combustione delle centrali elettriche e di altri impianti di produzione, e all’interno del nostro organismo risulta estremamente tossico.
La presenza di magnetite nel cervello umano in realtà non è di per sé una novità. Da almeno 25 anni infatti si sa che il nostro organismo può produrre queste micro-particelle magnetiche a partire dal ferro utilizzato nei normali processi metabolici. Il ruolo svolto dalla magnetite di origine biologica però non è chiaro. Il problema, spiega un articolo di Science, è che la magnetite causa un grave stress ossidativo sulle nostre cellule, e la sua presenza è stata collegata (se pur non in modo definitivo) allo sviluppo dell’Alzehimer (e di altre patologie neurodegenerative) e alla formazione delle placche amiloidi che lo accompagnano.
Questo materiale è inoltre presente in grandi quantità negli inquinanti ambientali prodotti dalle centrali elettriche e da altri impianti produttivi di tipo industriale. Per questo motivo, gli autori dello studio, un team di ricerca internazionale coordinato dalla fisica Barbara Maher della Lancaster University, hanno deciso di verificare quante delle nanoparticelle di magnetite presenti nel cervello umano siano effettivamente di origine biologica, analizzando campioni di corteccia cerebrale provenienti da 37 cadaveri.

Utilizzando diversi tipi di tecniche di imaging, i ricercatori hanno verificato la struttura geometrica delle nanoparticelle di magnetite presenti nei campioni, scoprendo che la maggior parte è di forma sferica, particolare che a detta degli esperti suggerisce un’origine ambientale, e non biologica.

A confermare la provenienza esterna del materiale, anche la presenza di altre particelle metalliche che non vengono prodotte naturalmente dal cervello, come platino, nickel e cobalto, che dimostrano come gli inquinanti ambientali possano raggiungere il nostro sistema nervoso centrale con molta più facilità di quanto si riteneva fino ad oggi.
La magnetite ambientale presente nel cervello supererebbe inoltre quella biologica con una proporzione di cento a uno: numeri elevatissimi che rendono ancor più preoccupante la scoperta. Il legame di questa sostanza con Alzheimer e altre patologie del sistema nervoso non è ancora chiaro, sottolineano gli autori dello studio, e non si sa neanche a quali livelli di concentrazione andrebbe considerata pericolosa. Ma i possibili rischi non si possono sottovalutare. “Purtroppo si tratta di un fattore di rischio estremamente plausibile, e rende sicuramente necessario lo sviluppo di adeguate precauzioni”, ha spiegato Maher su Science. “I legislatori hanno già cercato di tenere conto di questi pericoli nelle attuali normative sull’inquinamento ambientale, ma evidentemente queste norme potrebbero avere bisogno di essere riviste”.
Simone Valesini

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